Storia Del Duomo Di Orvieto

by Guglielmo Della Valle
Incomincia l’anno mille trecento cinquantasei con una notizia, che ci palesa il Pittore, da cui fa istoriata la cappella del S.Corporale. Egli non è altrimenti Pietro Cavallini Romano, come scrive Giorgio Vasari: bensì Ugolino di Prete Ilario Orvietano, che ebbe per compagno nell’opera, e nella paga di ventuno soldi il giorno M. Giovanni, di cui non si dice la Patria, nè il casato; ma probabilmente egli fu quel Fra Leonardelli, di cui si parlò poc’anzi, e che fu adoperato nel pinger vetri, e nel fare di musaico. Era in detto anno Architetto della fabbrica M. Andrea da Siena, con lo stipendio di cento fiorini d’oro l’anno: costui in una partita di pagamento dicesi figlio di M. Cecco Sanese . Ai Pittori sopra nominati si aggiunsero Pietrucciolo di Marco, e Morico di Pietrucciano, i quali appunto in sùi primi di Maggio dell’anno mille trecento cinquant’otto dipingevano intorno alla finestra del S.Corporale i freschi, tutt’ora esistenti; sebbene malconci, e scoloriti .

Venti e più Maestri trovansi impiegati in quest’anno a ristorare il Palazzo Apostolico; e M. Niccola da Siena era il capo degli Scultori. Nel tempo stesso radunossi il general Consiglio della Città, per esaminare parte a parte il lavoro de Musaicisti, che a parecchi Cittadini pareva, non fosse eseguito lodevolmente; e siccome l’affare era d’importanza, fu deliberato spedire due uomini a Firenze per il celebre M. Andrea Cioni, che recossi ad Orvieto in compagnia di Matteo Santi suo creato.

Due altri ne furono spediti a Monteleone per M. Consiglio; e finalmente due a Bologna per M. Matteo pittore, e musaicista. Tutti costoro trovaronsi in Orvieto prima del vent’uno di febbrajo dell’anno mille trecento cinquantanove; e in detto giorno dai pubblici Rappresentanti fu ordinato a M. Andrea Senese Architetto della fabbrica di fare un trattamento ai medesimi, in compagnia di Ugolino, e di Frà Giovanni pittori della Cappella. E’ noto ad ognuno l’ elogio, che Vasari fa di Andrea Cioni, il quale facilmente superò ogni altro musaicista dell’ età sua nel commettere insieme con grandissima considerazione i musaici, senza valersi della calce, o di altre mestiche, soggette a disciogliersi dopo non molti anni; poichè con alcune spranghe di rame impiombate li legava fortissimamente insieme, cosicché non di pezzetti, ma di un solo pezzo parevano formati: tanto erano levigati, piani, e stabili. A Vasari, e a Baldinucci diligentissimi raccoglitori di notizie, anche piccole, sfuggì questa dell’onorifico invito fatto al Cioni dagli Orvietani, i quali lo trattennero frà di loro col titolo di capo Maestro del musaico, e con lo stipendio di trecento fiorini d’ oro l’anno.

Egli incominciò a servire la fabbrica il giorno degli otto di ottobre in compagnia di Matteo Cioni parimente Fiorentino, di cui la paga a ragione di otto fiorini d’ oro al mese incominciò nel giorno ventinove di ottobre, e fece un’intera istoria di musaico nella facciata .

L’ultimo pagamento, che trovasi fatto al Cioni, fu di otto fiorini nel primo di Agosto dell’ anno mille trecento sessantasette; nel quale anno si fecero alcune utili ordinazioni per la fabbrica. Dopo tanti anni, ancora non era finita la tarsìa del Coro; ma parecchi Maestri le diedero finalmente il compimento. Maestro Paolo di Matteo Antonio Senese, capo degli Scultori era Architetto fin da tre anni innanzi, e dopo cinque anni (per tanti erasi egli condotto) cedette il posto a M. Giovanni di Stesano, parimente Senese, a cui fu assicurata la condotta per sei anni, da incominciare il dì primo di Agosto dell’ anno detto di sopra, con lo stipendio di fiorini cento dodici e mezzo, e col patto di dargli casa, letto, e le massarizie più grosse, e di non fargli per qualunque caso alcuna tara dallo stipendio stabilito.

Gli Scultori, che lavoravano nella Loggia Orvietana l’anno mille trecento settanta, erano quindici: e Latino Orsini Romano mandò dall’ isola di ponte Velano venti carrate di marmo per compimento degli ornati della facciata. Gli Ebanisti eran nove, con otto garzoni, capo de quali era M. Pietro Paolo di M. Adamo. E siccome si era allogata a M. Ugolino di Prete Ilario la pittura da farsi nella tribuna dell’Altare maggiore, con lo stipendio di sei fiorini d’oro al mese, egli si fece ajutare in quell’ opera da altri sei Pittori, de quali i migliori furono Pietro Pucci, e Antonio d’Andreuzzo. Va perciò corretto il Vasari, che attribuisce questa pittura ad Ambrogio Lorenzetti; il che non ardirei di asserire, se non ne avessi la testimonianza incontrastabile dell’ Archivio della Fabbrica, in cui sono distintamente nominati per molte settimane tutti coloro, che vi ebber mano. Del rimanente quei freschi tengono tanto della, maniera di M. Ambregio, che ne rimasi ingannato anchi’ io da principio, e mi parvero fatti da costui; come lo sono quelli della sala delle balestre, che mette nel palazzo pubblico di Siena. Forse M. Ilario fu creato di M. Ambrogio.

Convien dire, che, non ostante la perizia di M. Andrea Cioni, i Musaici avessero sofferto, o che gli Orvietani non fossero contenti di quelli fatti da altri Maestri; poiché fu spedito Lorenzo Catalani a Firenze per Ambrogio, e Francesco Mosaicisti, acciocché gli esaminassero, e consigliassero sopra il modo di ripararne la rovina. Morì al servizio dell’opera l’Architetto M. Paolo, e gli fu sostituito l’ altro Sanese M. Giovanni di Stefano, che subito fu spedito a Roma per avere de marmi. Trovansi di costui due lettere nell’ Archivio pubblico, in una delle quali si difende assai bene dalle imputazioni dategli al Trono del Sommo Pontefice; onde, pagate le spese, gli fu assegnato l’ onorario di fiorini diciassette e mezzo il mese, con alcuni commodi, ed esenzioni.

Il Sommo Pontefice Gregorio XI. accrebbe a questi tempi la pietà de Fedeli, e il concorso de Forestieri a Orvieto con altre Indulgenze, per le quali anche si accrebbero le obblazioni, e le opere. Fu risoluto di fare prima di tutto un’ Organo, che non avesse pari al Mondo, almeno per la mole; e Fra Filippo Teutonico dell’ ordine di S. Agostino ne tolse sopra di se l’impresa, dandogli l’ultima mano nel milletrecento ottant’otto. Fù innoltre condotto a fare di Musaico nella facciata M. Pietro Pizzi, uomo di abilità nell’ arte, ma incomodo per la sua incostanza. Intorno a quell’anno fecesi parimente la pila dell’Acqua Santa, che è di bella forma, ed è retta da un’Aquila con le ali distese. Luca da Siena Maestro di Francesco di Giorgio diede poi l’idea di altra simile, che costui fece per il Duomo della sua Patria; e piacque agli Orvietani quell’opera così, che ne diedero segno, allogandogli la fonte del Battesimo. Merita qui di essere ricordato un Emolo di Andrea Orcagna, che fu M. Nello di Giacobino Romano, al quale fu data a fare una Storia di Musaico nella facciata.

Siccome pure sono degni di memoria M. Simone di Luca Architetto, e F. Francesco d’ Antonio Orvietano Monaco Cisterciense della Badia di S. Salvatore sotto Monte Amiate che dipinse nei vetri del finestrone dietro l’ Altar Maggiore la vita, e i miracoli della B. V. (a).

Referencia: Storia del Duomo di Orvieto, Guglielmo Della Valle, Editore Lazzarini (1791)

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